venerdì 28 febbraio 2014

Riforma delle provincie

Ma è vero che i cittadini italiani vogliono l’abolizione delle provincie, o ci hanno inculcato questo proposito, bombardandoci di messaggi falsi e tendenziosi, per distrarci da problemi più seri e incombenti? C’è la sensazione che i politici di casa, esperti e rinomati furbacchioni, stiano tentando di raggirarci ancora una volta intentando la riforma di un’istituzione, come la provincia, per mettere in campo un altro prototipo di carrozzone, magari più elefantiaco, dove sistemare i trombati di tutti i colori (in futuro ne vedremo di parecchi), di nome “consorzio”. Già la stessa parola Consorzio mette paura. L’esperienza ci insegna che i Consorzi in Sicilia hanno procurato solo danni e alimentato un forte clientelismo (ricordiamo i Consorzi di Bonifica, i Consorzi ASI, ATO, quelli Agrari e così via dicendo), dove il numero dei dipendenti negli anni è cresciuto in modo esponenziale, ufficialmente per interessi di territorio, ma di fatto hanno dimostrato che le attenzioni erano altre. La paura è che questi Consorzi di comuni, che “probabilmente” nasceranno, possano diventare per la politica un nuovo centro di spesa dissennata e un sistema di potere disappropriato al territorio, e che negli anni a venire ci possano far pentire di aver soppresso le vecchie ma ormai rodate e solide provincie regionali. Alla luce delle vicissitudini non rosee del cammino del disegno di legge in discussione ormai da tempo all’ARS, ci si aspetta una riforma che più che di una necessità di cambiamento, pare, viceversa, una esigenza, preda di opportunismo politico. Gli schieramenti politici sembrano sornioni alla riforma Crocetta. Montagne di emendamenti, rinvii, bocciature, votazioni segrete e trasversali non sfuggono agli osservatori più oculati che giudicano questi “giochetti” come un forte segnale di rifiuto del cambiamento. E’ evidente che approvare una riforma con la mente rivolta alle possibilità di sfruttamento del nuovo soggetto politico e non per un risparmio economico o per snellire la burocrazia imballata, con urgenza e senza un suffragio unanime, così come si sta provando a fare all’ARS, è un rischio che oggi la Sicilia non può permettersi. Chiediamo ormai da tanti anni una riforma delle istituzioni, e le provincie fanno parte del mazzo, ma nonostante le pressioni dell’opinione pubblica non si riesce a venirne a capo, evidentemente per i forti interessi politici e partitici, che vedono in qualsiasi occasione di cambiamento delle opportunità da non lasciarsi sfuggire senza introdurre a monte privilegi per la casta.