martedì 22 settembre 2015

Gli esterni e la politica "incosciente".

L’ingerenza continua e iniqua dei politici in quell’area decisamente ed opportunamente riservata solo all’amministrazione, ha provocato danni direi quasi irreparabili alla funzionalità ordinaria della macchina burocratica regionale. E’ ormai alla luce del sole la raffinata astuzia con la quale i governi regionali succedutisi negli anni hanno manipolato nel proprio interesse l’intera organizzazione degli uffici siciliani dequalificandone le potenzialità e l’efficienza. Una di queste, la più paradossale, è la quantità o meglio il numero degli esterni in servizio attivo nell’amministrazione, una prassi consolidata nel tempo e che è sfuggita di mano ai nostri governanti, spinti da un accanimento e da un attaccamento alla poltrona difficile da scardinare. Legati ancora all’antica tradizione politica “io do tu dai”, i politici nostrani continuano ad insinuarsi nella realtà amministrativa piazzando i propri “devoti” lì dov’è possibile, ma spesso anche oltre. Numeri incerti ma facilmente riscontrabili. Professionisti che orbitano nel cerchio magico della politica e che vivono di questo, galoppini o trombati che continuano a proporsi con manovre di basso profilo morale. Entrare nel “giro” non è facile e restarne è ancora più difficile, ma i soliti noti riescono a farlo facilitati dal ruolo che esercitano e con il numero di tessere disponibili. Figure che imbarazzano. I dipendenti di ruolo, di contro, vengono mortificati continuamente, per giustificare così queste presenze, da attacchi indiscriminati lanciati da chi viceversa dovrebbe quantomeno prenderne le parti, costretti a tirare le cinghia mentre nel contempo si vedono scavalcare da gente incompetente e presuntuosa, pagata a fior di quattrini. Nessuno sembra chiedersi il perché di queste presenze. Personale medico e paramedico, figure necessarie negli ospedali da dove provengono che da diversi anni svolgono attività amministrativa all’assessorato alla salute. Ma ci sono anche gli esterni che prestano servizio all’assessorato Bilancio, al dipartimento della programmazione, al territorio ed ambiente, ma anche tantissimi che “succhiano” il buon latte dagli uffici di gabinetto degli assessori. Drammatica incoscienza politica, a cui bisogna porre immediatamente rimedio. Oggi non è più discutibile se costoro sono più o meno importanti o come qualcuno sostiene addirittura “determinanti” per il funzionamento dell’amministrazione regionale, bisogna tagliare tutto e subito, senza perdere più tempo. Non c’è più spazio, non c’è più denaro, non c’è più bisogno (se mai ce ne fosse stato) di questa gente, basta cercare all’interno, bisogna dare più opportunità e fiducia al personale di ruolo che comunque, al di là di governi che vanno e che vengono, porta avanti la baracca. Oggi altra polemica sulla mobilità d'imperio del personale regionale. Nessuno accetterà mai di buon cuore trasferimenti imposti, mentre l'atto di interpello senza una valida contropartita è un flop. Nessuno si sposterà da un ufficio vicino casa, per un altro, magari anche meno prestigioso (perché dovrebbe farlo?), e perché poi agli esterni offrono contratti incredibili e al personale regionale si nega addirittura il rinnovo del contratto di lavoro (fermo al 2007!!) e di cui nessuno parla. Chi rifiuta il trasferimento o quantomeno chi non si presta all’atto di interpello non è un lavativo o addirittura un “fannullone” (parole del nostro amato sostenitore Nino Sunseri sul giornale di Sicilia), ma bensì un lavoratore a cui propongono un trasferimento senza alcun ritorno economico e con un ulteriore aggravio di responsabilità.

mercoledì 22 luglio 2015

S. Martino delle Scale . Si festeggia S. Benedetto e si ricorda il Giudice Borsellino

Si festeggiava S. Benedetto. Un lungo corteo per le strade alberate di S. Martino delle Scale, una frazione di Monreale a due passi dalla città. Piccole viuzze dove il carro con la statua del Santo, Patrono d’Europa, si insinuava sospinto da una ventina di uomini forti e motivati, i figli di S. Benedetto. Una lunga scarpinata che giungeva al termine solo verso sera tra le forti mura dell’Abbazia benedettina tra canti e musica. Tante le soste, ma una in particolare mi ha scosso , quella fatta davanti i martiri della guerra, dove il monaco benedettino invitava i fedeli, dopo aver rilevato la ricorrenza della festività con il 23° anniversario dell’eccidio del giudice borsellino e della sua scorta, ad un momento di raccoglimento. Dopo l’inno ai caduti intonato dalla banda musicale, un forte applauso è riecheggiato nel piccolo centro montano, Cento, duecento persone forse, la commozione che ha coinvolto gran parte dei presenti si sentiva dal loro battere le mani, con vigore e convinzione, quasi a voler svegliare i morti. Io ero tra loro, e mi ritenevo fortunato di essere lì in quel momento. Non c’erano ipocriti, politicizzanti, gente di potere, no, c’era gente qualunque che non ha scordato quanto accaduto ventitré anni addietro, che non ha scordato quanto sangue è stato versato da vittime innocenti che si prestavano soli e indifesi a sostenere i nostri diritti tra i quali la Libertà, quella di cui ci vantiamo di avere raggiunto, ma che in realtà rimane un sogno irrealizzabile, una libertà per cui invano hanno combattuto i nostri nonni e per cui si continua inconsapevolmente, forse, a morire.

giovedì 7 maggio 2015

Deputati regionali, ma cosa avete fatto?

Il Governo regionale ha vinto. Cusimano e Sunseri hanno vinto. Il Parlamentino regionale ha vinto. Adesso per la gioia di Crocetta e compagni il sistema pensionistico dei dipendenti regionali è stato equiparato a quello degli statali, e non solo quello. La Sicilia adesso è salva. I dipendenti regionali messi alla gogna ormai da troppi anni, hanno comunque fatto la loro parte: hanno salvato da soli la Regione dal default. Che goduria sarà stata per tutti i novanta deputati all’ARS, sapere che da domani i dipendenti regionali in pensione faranno anch’essi parte della grande famiglia di italiani colpiti dal virus della miseria e che loro, viceversa, continueranno a vivere di privilegi . A tale proposito si riporta il commento di un lettore di live Sicilia che racchiude in poche parole il significato di tutta la manovra portata avanti senza scrupoli dal governo Crocetta: “C'è chi nasce schiavo, e ritiene che la giustizia sociale non sia eliminare la schiavitù ma estendere la schiavitù a tutti per eliminare "i privilegi". Ci sono lavoratori colpiti dalla Fornero che hanno iniziato una crociata per estenderla a tutti. Oggi la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale una parte di questa legge. Domando: sono gli altri i privilegiati o sono i crociati degli imbecilli? Fatta la legge ora tutto può tornare come prima. Colapesce (il presunto “salvatore” Baccei), forte di questa vittoria in trasferta, potrà tornare a casa così come fece la Fornero dopo la sua rivoluzione che ha mandato in miseria milioni di pensionati italiani, il “progettista” e “regista” Crocetta potrà riprendere la sua attività prediletta e continuare a recarsi in Procura o da Giletti e denunciare misteriosi fatti e misfatti, i suoi consulenti “preferiti” nonché i suoi “figliocci”, potranno continuare ad occupare le poltrone più “eleganti “ e prestigiose dell’isola con compensi maestosi “aggiustati” in corso d’opera, l’amico di tutti, il sottosegretario alla pubblica istruzione Davide Faraone, dopo avere ravvivato la sua carriera con questa sua politica “risanatrice”, potrà avvalersi, nel prossimo futuro, del sostegno dei lavoratori regionali per proiettarsi, con la professionalità e la cultura che lo contraddistingue, nelle poltrone più importanti d’Italia, e per ultimo il Giornale di Sicilia, primo esortatore di questa riforma, che con i frutti di questa maestosa campagna demolitrice potrà finalmente dare un sostegno economico ai suoi coloratissimi e abilissimi editorialisti di punta. L’autonomia siciliana è finita. Non a torto qualcuno sostiene che è stata “svenduta” da Crocetta e la sua corte alla politica romana per trenta denari, e purtroppo sarà difficile, se non impossibile, tornare indietro. Tutti i lavoratori regionali ricorderanno il governatore siciliano come il “Nerone di Gela”, colui che, con una innegabile strategia, ha mandato in rovina migliaia e migliaia di pensionati siciliani e le loro famiglie. I dipendenti della regione sono messi male, certo, ma c’è chi sta peggio. Chi? I sindacati naturalmente, a cui dopo questa batosta non resta che leccarsi le ferite, sbracciarsi e cambiare faccia. Rinnovarsi. Restano adesso poche cose da fare e nel più breve tempo possibile per non causare un’emorragia di cancellazioni: I Congressi per prima cosa, e rimuovere fin da subito tutti i vertici sindacali. Subito dopo promuovere una raccolta di firme per la riduzione dei parlamentari siciliani (50) e dei loro compensi e privilegi, così com’ è avvenuto nelle altre regioni d’Italia. Restano da definire le modalità di lotta per ottenere i rinnovi contrattuali i quali, da oggi in poi, dovranno ritornare ad essere i punti cardine della lotta sindacale.

martedì 24 marzo 2015

IL GOVERNO REGIONALE PRENDE FIATO E “TRATTA”

La sollecitudine con la quale il governatore, dopo mesi e mesi di tira e molla, riconosce il ruolo dei sindacati, ci lascia spiazzati ma decisamente più rilassati. Un’apertura che speriamo porti a una serena soluzione delle controversie e che soprattutto conforti entrambe le parti. I margini ci sono, e sono tra l’altro avvicinabili. Si tratta di limare qualche grossa pretesa e ridimensionarne qualche altra, ma alla fine rimaniamo fiduciosi del buon esito della scelta opportunamente fatta, che rimanda la discussione alla presenza di esperti di pubblico impiego (ARAN SICILIA). Il pasticcio che il governo regionale stava realizzando è stato dettato sicuramente da un’interpretazione un pò troppo facilona delle norme regionali che regolano il sistema pensionistico dei propri dipendenti, che, bisogna ricordarlo, hanno già recepito la legge nazionale in materia. Con qualche anno di ritardo potrebbe obiettare qualcuno, ma è stato comunque fatto. La legislazione in materia di pensionamento, dal nostro punto di vista , dovrebbe essere rivisitata, alla luce della ripresa economica sperata e pare in parte avviata a livello nazionale. Un nuovo sistema che non precluda le porte a chi ha cominciato a lavorare fin da giovanissimo, ma anzi che lo stimoli ad andar via,a lasciare, soprattutto per aprire le porte a tanti giovani italiani in cerca affannosa di lavoro. L’avidità del “tecnici” e politici a riconoscere questa opportunità è come chiudere gli occhi davanti ad una evidenza drammatica. Da un lato lavoratori “troppo anziani” per continuare a svolgere attività che richiedono lucidità, fisicità e prontezza e dall’altro un elevato numero di giovani disoccupati che non sa più che pesci prendere per sbarcare il lunario. Insomma una ingarbugliata situazione che trova spiazzato chiunque metta mano al “motore” del nostro Paese. Evidentemente, e parliamo del nostro caso specifico, ci si trova stretti tra un retaggio debitorio di un certo spessore e un accanimento troppo improvvisato e duro verso chi tira il pesante carro dell’amministrazione regionale. Ma su una cosa siamo comunque convinti e determinati, la scure se deve calare deve calare per tutti. Bisogna a chiare lettere parlare al cittadino e fargli capire che non è un privilegio andare in pensione con l’attuale sistema pensionistico in vigore in Sicilia, che non premia assolutamente nessuno, ma che viceversa è intollerante e folle il sistema nazionale, una ricetta, quest’ultima che nel lungo termine porterà alla fame tutti, e confermo tutti i pensionati d’Italia. Noi non vogliamo arrivare a questo, vogliamo lottare per vivere decentemente la nostra vecchia età, quando i nostri bisogni aumenteranno, nel tempo in cui avremo bisogno di una maggiore assistenza sanitaria e sociale, con la speranza che l’affannosa ricerca di un rifugio consolatorio non si scontri con un’austera autonomia finanziaria.

giovedì 19 marzo 2015

UN SIT-IN SOTTO LE MURA DOMESTICHE

Eravamo in duemila circa, sotto quegli ombrelli multicolori che ne nascondevano le facce scure segnate dal tempo e dalla rabbia. Un nutrito gruppo di uomini e donne uniti da un passato comune e da un futuro ignobilmente messo in discussione nottetempo dalla politica nostrana assoggettata a quella romana. Tra abbracci e strette di mano, slogan e bandiere, abbiamo tenuto il passo, la pioggia questa volta non l’ha fatta da padrona. Non ci si è lasciati intimorire, anzi la collera è stata da stimolo a proseguire, ad ingaggiare una lotta impari sotto le mura domestiche. La ragione questa volta non esiste, esiste invece l’arroganza di chi eletto dal popolo vuole sottomettere il popolo, quel popolo che non viene ascoltato quando irriverente al potere. Questo è lo scotto che si paga qui in Sicilia per sopravvivere. O con noi o contro di noi. La colpa dei dipendenti regionali è solo quella di avere un lavoro, un lavoro fisso in terra di miseria, una vera sfortuna questa. Si vagheggia di stipendi d’oro, di favole inventate da chi vuole la guerra sociale. Una scervellotica teoria diffamatoria che affama ancor di più questa nostra società, così fortemente incline a recepire leggende che non hanno né testa né piedi. La malvagità di giornalisti (molto pochi a dire il vero ma determinanti) che snaturano i fatti, che non si limitano a raccontarli così come sono ma che li colorano con impliciti messaggi di odio e di invidia, che vogliono rendersi protagonisti di una sceneggiatura che viceversa li ignora e forse li detesta pure. Questi (pochi) che svolgono un’attività di lucro sulle sventure altrui, che manifestano apertamente ciò che non condividono, offuscando con parole grandi come macigni, l’opinione dei lettori, e ancora questi che non danno spazio a nessuna replica se non pilotata, e che sparano pregiudizi insensati. E poi il silenzio dei politici, zitti e nascosti dietro un paravento che comunque non li salverà dal giudizio degli elettori, rotto soltanto dall’insensato e spregiudicato atteggiamento del governo, determinato a dare l’estrema unzione a lavoratori ormai ultra sessantenni, con le armi spuntate (ma mai rassegnati), che pensavano ormai conclusa questa prima fase dello loro vita.

UN SIT-IN SOTTO LE MURA DOMESTICHE

Eravamo in duemila circa, sotto quegli ombrelli multicolori che ne nascondevano le facce scure segnate dal tempo e dalla rabbia. Un nutrito gruppo di uomini e donne uniti da un passato comune e da un futuro ignobilmente messo in discussione nottetempo dalla politica nostrana assoggettata a quella romana. Tra abbracci e strette di mano, slogan e bandiere, abbiamo tenuto il passo, la pioggia questa volta non l’ha fatta da padrona. Non ci si è lasciati intimorire, anzi la collera è stata da stimolo a proseguire, ad ingaggiare una lotta impari sotto le mura domestiche. La ragione questa volta non esiste, esiste invece l’arroganza di chi eletto dal popolo vuole sottomettere il popolo, quel popolo che non viene ascoltato quando irriverente al potere. Questo è lo scotto che si paga qui in Sicilia per sopravvivere. O con noi o contro di noi. La colpa dei dipendenti regionali è solo quella di avere un lavoro, un lavoro fisso in terra di miseria, una vera sfortuna questa. Si vagheggia di stipendi d’oro, di favole inventate da chi vuole la guerra sociale. Una scervellotica teoria diffamatoria che affama ancor di più questa nostra società, così fortemente incline a recepire leggende che non hanno né testa né piedi. La malvagità di giornalisti (molto pochi a dire il vero ma determinanti) che snaturano i fatti, che non si limitano a raccontarli così come sono ma che li colorano con impliciti messaggi di odio e di invidia, che vogliono rendersi protagonisti di una sceneggiatura che viceversa li ignora e forse li detesta pure. Questi (pochi) che svolgono un’attività di lucro sulle sventure altrui, che manifestano apertamente ciò che non condividono, offuscando con parole grandi come macigni, l’opinione dei lettori, e ancora questi che non danno spazio a nessuna replica se non pilotata, e che sparano pregiudizi insensati. E poi il silenzio dei politici, zitti e nascosti dietro un paravento che comunque non li salverà dal giudizio degli elettori, rotto soltanto dall’insensato e spregiudicato atteggiamento del governo, determinato a dare l’estrema unzione a lavoratori ormai ultra sessantenni, con le armi spuntate (ma mai rassegnati), che pensavano ormai conclusa questa prima fase dello loro vita.

lunedì 16 marzo 2015

Raccogliere questa opportunità

La manifestazione di martedì 17 marzo e lo sciopero di venerdì 20 marzo, indetto dalle organizzazioni sindacali, rimane l’ultimo treno, l’ultima chance per scongiurare un intervento legislativo che provocherà, se non bloccato in tempo, un danno sociale inestimabile, nonché una frattura insanabile fra tutti i dipendenti della Regione Siciliana e il Governo regionale guidato da Rosario Crocetta, che con un’azione unica nel suo genere, da regime assoluto, a fianco del suo assessore all’economia Baccei, intende recepire il “peggio” della legge statale relativa al sistema pensionistico e applicarlo ai dipendenti regionali. Una vera e propria estorsione. E’ importante ricordare innanzitutto, che la norma in questione, che si vuol far passare per buona, come “determinante” per il futuro della Sicilia, compromette unicamente il futuro di migliaia di pensionati, senza nessun rilevante risparmio per le casse della regione. Una norma di facciata, che di fatto modifica unilateralmente, e ancora una volta, il sistema pensionistico di circa diciottomila lavoratori, compresi nella fascia d’età tra i cinquanta e i sessantacinque anni, che dall’oggi al domani si vedranno decurtare il proprio reddito mensile di circa la metà. Una esaltazione della follia bella e buona quella del governo Crocetta, che speriamo in aula venga contenuta dal buonsenso dei deputati regionali che “devono” capire che a sessant’anni non si può ricominciare, non si può accendere un’assicurazione previdenziale integrativa, non si può sperare di esercitare un’altra attività, un’altra professione, che si è fuori da ogni gioco e da ogni logica lavorativa, nonchè in balìa della Provvidenza che dovrà esercitare una continua e consapevole conservazione della tua buona salute. Non si può mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di un pensionato dopo trentacinque-quarant’anni di lavoro. Detto questo, il governo Crocetta-Baccei con una insolita dimostrazione di forza, ti mette con le spalle al muro, e smuove, con i complici della carta stampata, l’opinione pubblica, che già vede i lavoratori regionali ricchi e nulla facenti, adducendo scenari catastrofici e da terzo mondo se non si applica, e alla svelta, il sistema previdenziale applicato dallo Stato ai propri lavoratori. Senza guardare oltre il proprio naso, senza neppure chiedersi se è sbagliato il nostro sistema pensionistico o se è stato troppo azzardato viceversa quello messo in atto per i lavoratori statali, senza neppure verificare quali sono i veri sprechi e porre i rimedi a questa catastrofe annunciata, il Presidente Crocetta, e i suo Governo, decide di andare avanti per la sua strada, pur di non dimettersi e sciogliere l’assemblea di Palazzo dei Normanni, che di fatto da oltre due anni sembra un corpo estraneo e assente, addomesticato alla volontà del presidente siciliano.

martedì 3 marzo 2015

Sistema pensionistico. Roma decide e Crocetta ubbidisce.

Tra rinvii , ripensamenti, modifiche e sciocche interpretazioni, la riforma del sistema pensionistico in Sicilia non vuole decollare. L’opprimente intervento dello stato centrale, che attraverso il proprio “emissario” vuole imporre tagli a qualunque costo, ridicolizza l’operato della giunta di governo regionale che non riesce a collocare un suo progetto in sinergia con le parti sindacali. La volontà dell’amministrazione regionale “pare” non voglia danneggiare i propri dipendenti, specialmente coloro che hanno già sulle spalle trentacinque e più anni di contribuzione, lavoratori precoci, che già disponevano di una posizione previdenziale in età oggi quasi impossibile da imitare, ma l’imposizione romana non lascia molti spazi alla vertenza. Sarebbe molto più semplice lasciare andare in quiescenza tutti coloro che hanno raggiunto i requisiti pre-Fornero senza penalizzarli (anche perché, vogliamo ricordarlo, i dipendenti della regione siciliana non hanno goduto dei rinnovi contrattuali economici e giuridici dovuti dal 2007 a tutt’oggi), e quindi riformare il sistema per i nuovi assunti. Più che attuale il detto “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”; chi ci governa non si rende conto che poche persone “non hanno il diritto” di cambiare le sorti future di migliaia di lavoratori senza nessun accordo, e che quest’ultimi non possono sempre subire passivamente norme che modificano continuamente e in corso d’opera il loro iniziale contratto d’ingaggio. E’ determinante e non più rinviabile una riflessione sui criteri e sul sistema di gestione del personale regionale, che antepongano sì i problemi di equilibrio economico, ma che nel contempo non ledano così frequentemente e in modo penalizzante i diritti dei lavoratori.

mercoledì 25 febbraio 2015

LA FINE DI UN SOGNO DURATO SETTANT’ANNI

Forse non tutti ancora lo sanno, ma la Sicilia ha perso la sua autonomia, la sua “specialità”, quella di cui tanto si vantava. L’ha persa in un modo incredibilmente intrecciato. La sceneggiatura messa in atto dal Presidente Crocetta in questo scorcio di legislatura, tra proclami e offese, tra incauti attacchi alla burocrazia e alle forze sociali, tra sprechi e progetti di governo incomprensibili, ha determinato un eccesso di visibilità negativa alla nostra terra, ormai alla mercé di avvoltoi politici e di tutti i media locali e nazionali. Si è giunti così a un punto di non ritorno. Accertata ormai la fine della sua attività politica in Sicilia, Crocetta tirerà a campare, probabilmente, sino alla fine della legislatura, sempreché il buon Faraone, leader regionale del PD, braccio destro di Renzi in Sicilia e quindi inevitabile prossimo candidato alla presidenza del governo regionale, non dirà basta a questa assurda lotta al massacro. Le regole le fa chi governa, questa è ormai storia più che attuale, e il buon Renzi l’ha capito fin da subito. Crocetta sta uccidendo la Sicilia e il PD e questo non può passare inosservato, bisogna al più presto prendere provvedimenti. Così, con la scadenza ormai prossima del bilancio provvisorio, si prova a rendere impossibile una nuova finanziaria, carica di debiti, e mettere il Presidente di Gela di fronte a un evidente fallimento e ai margini politici siciliani. Quale occasione migliore si presenta al Presidente del Consiglio per impadronirsi della Sicilia, sempre territorio di caccia della DC prima e del centrodestra dopo, per dare una spallata al passato disastroso di una terra che cerca il riscatto ma che trova puntualmente solo poteri forti intenti a contendersi un bacino di voti determinanti a gestire unilateralmente le sorti di questo Paese. Le maglie sono ormai troppo strette. La sfiducia del parlamento siciliano al Presidente Crocetta è perlopiù impossibile, considerato che gran parte degli attuali “consiglieri” non verrebbero più rieletti, mentre le dimissioni volontarie “dell’uomo venuto da Gela” sono una favola raccontata da chi forse non lo conosce abbastanza bene, l’unica strada percorribile, pertanto, resta quella del commissariamento, termine laconico per definire la fine di una autonomia morta per mano degli stessi siciliani.