giovedì 19 marzo 2015

UN SIT-IN SOTTO LE MURA DOMESTICHE

Eravamo in duemila circa, sotto quegli ombrelli multicolori che ne nascondevano le facce scure segnate dal tempo e dalla rabbia. Un nutrito gruppo di uomini e donne uniti da un passato comune e da un futuro ignobilmente messo in discussione nottetempo dalla politica nostrana assoggettata a quella romana. Tra abbracci e strette di mano, slogan e bandiere, abbiamo tenuto il passo, la pioggia questa volta non l’ha fatta da padrona. Non ci si è lasciati intimorire, anzi la collera è stata da stimolo a proseguire, ad ingaggiare una lotta impari sotto le mura domestiche. La ragione questa volta non esiste, esiste invece l’arroganza di chi eletto dal popolo vuole sottomettere il popolo, quel popolo che non viene ascoltato quando irriverente al potere. Questo è lo scotto che si paga qui in Sicilia per sopravvivere. O con noi o contro di noi. La colpa dei dipendenti regionali è solo quella di avere un lavoro, un lavoro fisso in terra di miseria, una vera sfortuna questa. Si vagheggia di stipendi d’oro, di favole inventate da chi vuole la guerra sociale. Una scervellotica teoria diffamatoria che affama ancor di più questa nostra società, così fortemente incline a recepire leggende che non hanno né testa né piedi. La malvagità di giornalisti (molto pochi a dire il vero ma determinanti) che snaturano i fatti, che non si limitano a raccontarli così come sono ma che li colorano con impliciti messaggi di odio e di invidia, che vogliono rendersi protagonisti di una sceneggiatura che viceversa li ignora e forse li detesta pure. Questi (pochi) che svolgono un’attività di lucro sulle sventure altrui, che manifestano apertamente ciò che non condividono, offuscando con parole grandi come macigni, l’opinione dei lettori, e ancora questi che non danno spazio a nessuna replica se non pilotata, e che sparano pregiudizi insensati. E poi il silenzio dei politici, zitti e nascosti dietro un paravento che comunque non li salverà dal giudizio degli elettori, rotto soltanto dall’insensato e spregiudicato atteggiamento del governo, determinato a dare l’estrema unzione a lavoratori ormai ultra sessantenni, con le armi spuntate (ma mai rassegnati), che pensavano ormai conclusa questa prima fase dello loro vita.

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