mercoledì 5 ottobre 2016

CADUTA DI STILE DEL GOVERNATORE E PREVARICAZIONE DI CERTA STAMPA


Continua impietosa la maligna campagna denigratoria contro i dipendenti regionali, tanto che ormai nell’immaginario collettivo  vengono riflessi come il diavolo e i suoi fratelli, come coloro che si destreggiano giornalmente per non far nulla, che rifiutano di lavorare perché arroganti e presuntuosi, che non accettano condizioni che siano diverse da quelle da essi prescelte. Niente di più falso. Il presidente Crocetta, uomo tutto di un pezzo e di grande moralità, decide di licenziare i dipendenti regionali che non “ubbidiranno” al trasferimento d’ufficio, una dichiarazione di per lì buttata giù senza pensarci  su neppure un attimo (come al solito), senza riflettere sulle conseguenze che queste parole hanno sui lavoratori e sulle loro famiglie, additati come ricchi nullafacenti in un paese di poveri e disoccupati. Ingenuo o perspicace  fino al punto di spingersi a dichiarazioni al limite della ragionevolezza?  Prepongo per il secondo aggettivo, visto che il presidente Crocetta è stato fin troppo ingeneroso, già all’alba della sua elezione a Governatore, verso i suoi dipendenti. Queste sue esternazioni hanno dato corda ai vari Sunseri e Pipitone che si sono spinti all’inverosimile, fino all’offesa, definendo addirittura “parassiti” i dipendenti regionali (Giornale di Sicilia del 2/10/2016).

Dopo aver gettato in pasto  al  famelico lettore prevenuto una notizia del tutto infondata e tendenziosa, “i nostri amici” redattori si preparano ad accogliere con disinvoltura i frutti della loro stupidità. Ma dove vogliono andare a parare? La suola della scarpa è ormai  consumata.
Non i macrostipendi dei dipendenti dell’ARS, veri e propri privilegiati, vengono presi di mira dai paladini della giustizia nostrani, ma i dipendenti di Palazzo d’Orléans.
Tremila dipendenti godono della L.104  (tut. Port. di hand.) mentre tremila sono i dipendenti regionali  che usufruiscono delle prerogative sindacali. Un chiacchiericcio che è evidentemente frutto di una cattiva informazione,  ma che ha nel contempo scatenato un putiferio mediatico.

venerdì 8 luglio 2016

Orlando e Palermo, amore finito

Orlando e Palermo, amore finito Vent’anni non sono pochi ma, stranamente, sono trascorsi senza essercene accorti. Sì, Orlando, il Sindaco di Palermo, quello che ” lo sa fare ..” è riuscito a battere tutti i record. Tutto ebbe inizio nel lontano 1985 con la famosa primavera di Palermo. Venivamo da periodi bui, il sacco di Palermo, la mafia, la politica corrotta, e i palermitani, presi da un momento di panico, di angoscia, decisero in massa di affidare il mandato di Sindaco a Leoluca, allora giovane professore universitario e consigliere comunale. Una strategia che ebbe i suoi buoni risultati. Palermo cambiò veste, iniziarono i lavori di “bonifica” della città, che nel giro di qualche anno portarono il capoluogo siciliano ad avere un ruolo e una posizione di prestigio nazionale. L’entusiasmo dei palermitani nei riguardi del “salvatore”non si spense, e così fu assicurato al “Sindaco benefattore” una lunga e stimata carriera politica. Un uomo ambizioso e coraggioso, tanto da “osare” sfidare l’allora "eccellenza politica siciliana”, l’ex democristiano Totò Cuffaro alla guida della Regione siciliana, con il risultato che tutti noi conosciamo. Una carriera eccezionale, Assemblea regionale , Camera dei Deputati, Parlamento Europeo, con addosso il marchio di Italia dei Valori dell’ex PM di mani pulite Antonio Di Pietro, esperienze che si spensero quando decise nel 2012, di riproporsi come primo cittadino di Palermo, con una campagna elettorale incentrata sul riordino del precariato al comune di Palermo (che aveva lasciato nel limbo) e sull’esperienza politica maturata che portava in dote, riuscì così a farsi eleggere ancora una volta Sindaco del capoluogo siciliano. Sono già trascorsi quattro anni, e tanto è bastato al professore Orlando per far rimpiangere addirittura il forzista Diego Cammarata, il Sindaco fantasma, ricordato e associato dai palermitani alle cronache mondane cittadine a cui era assiduamente legato. Manca poco allo scadere del mandato, ed è giunto il momento di fare un bilancio della sua permanenza a Palazzo delle Aquile, ma la voce che corre insistentemente è unanime: Palermo è oggi una città in caduta libera. Periferie abbandonate a se stesse, nel degrado, dove la presenza delle istituzioni comunali è totalmente assente. Traffico, smog, delinquenza, disoccupazione, strade dissestate e senza illuminazione, eterne incompiute, assenza TOTALE di impianti sportivi e di aree verdi. Viabilità ferma a vent’anni fa, e di nuova neanche a parlarne. Tante le promesse, gli impegni, ma i palermitani fino ad oggi hanno visto soltanto lievitare le tasse comunali, le multe (è il servizio più efficiente della gestione Orlando) e i divieti, quelli sì, niente di più. Un bilancio povero di risultati, schietto, che evidenzia i “limiti” di un uomo probabilmente stanco, appagato e ormai spento di entusiasmo, che nonostante tutto, in barba alle problematiche insolute della città, viene “proclamato”, suo malgrado, “Presidente della città metropolitana di Palermo”, un ulteriore e inaspettato premio al suo impegno politico. E sì, è vero, lui si che lo sa fare…..

venerdì 24 giugno 2016

Tatuaggi. Il rincorrere la diversità che si rivela fatale

Forse non ce ne siamo ancora accorti, ma sia chiaro che anche il tatuaggio è un modo per schedare la popolazione. Abbiamo oggi raggiunto un record assoluto. Prima il “privilegio” era riservato a marinai e carcerati, un marchio sul corpo che simboleggiava una vita dura e piena di rinunce. Poi tutta un’esplosione di “immagini” che dapprima colpì la fantasia degli artisti e subito dopo il mondo dello sport. L’emulazione ha fatto il resto. Tutto ebbe inizio in sordina, un piccolo tatuaggio poco visibile in una parte del corpo che veniva scoperto soltanto in estate, nelle spiagge, poi venne il “coraggio”di metterlo bene in vista. Oggi è tutt’altra cosa, è la moda. Un modo di esibirsi trasversale alla bellezza, all’eleganza, alla cultura, che incuriosisce i sociologi e impaurisce i psicologi che prevedono tra non molti anni una “sindrome da tatuaggio”, inteso come il “bisogno” di ripulirsi di quell’immagine che negli anni ha cambiato volto e che appare oggi come una “macchia snaturalizzata” simbolo dell’ingenuità adolescenziale. Ma il problema appare ancora più inquietante se si pensa che anche le istituzioni chiudono un occhio a tale comportamento, come se si trattasse di un semplice piercing o di un ordinario colore ai capelli. Facili da portare via. Il tatuaggio resta per tutta la vita. Il giovane innamorato che imprime sul suo corpo il nome della sua ragazza che dopo poco tempo non ne vuol più sapere, il calciatore che invece “tatua” in tutta evidenza e senza limite alcuno i colori della sua squadra, e di quella successiva e dell’altra ancora fino a sembrare un uccello variopinto privo di spirito, per non parlare di soubrette televisive che mostrano esempi di pittura che rasentano il ridicolo. Nessuno parla, tutti tacciono, forse l’argomento, vista la vastità del fenomeno, fa paura. Anche nell’esercito, nelle forze dell’ordine, dove in un primo momento era vietato, il tatuaggio oggi è possibile, anche se a certe condizioni. Il tatuaggio resta impresso nel corpo per sempre, fino alla fine dei nostri giorni. Non c’è possibilità alcuna di cancellarlo. Inutile illudersi o lasciarsi convincere del contrario da pseudo esperti, quasi sempre mestieranti o tatuati incalliti. Qualsiasi tentativo è vano. Una macchia indelebile sul corpo che nel corso degli anni ricorderà l’infantilismo e l’immaturità della nostra attuale società. Non ci sono ancora studi sociali sul fenomeno, ma appare evidente che la ricerca della diversità stia alla base di questo forte abuso del proprio corpo, una diversità che, complice la disinformazione, oggi sta travolgendo una intera generazione di giovani che si affaccia alla finestra del tattoo per perdere inconsciamente la libertà di gestire in futuro il proprio corpo.

venerdì 3 giugno 2016

Festa della Repubblica a Palermo


 
 Una giornata soleggiata ha accompagnato il 70° anniversario della Repubblica italiana. Una bella festa, grandi uniformi multicolori addobbati da mostrine che sembravano non trovare più spazio nelle pettorine. Greche, torri e stelle che non hanno dato certo sobrietà alla manifestazione. Una piccola ma comunque generosa parata militare, un evento che poteva dare di più in termini di risultato ma che è somigliato poco o più che a una pittoresca passerella. Poca gente ad assistere ma molto motivata, lo si è notato dagli occhi lucidi quando la banda del XII battaglione carabinieri ha intonato l’inno nazionale di Mameli durante l’alza bandiera e soprattutto quando il  Prefetto di Palermo ha espresso le condoglianze all’Arma dei carabinieri per il brutale e vile assassinio del maresciallo Silvio Minarchi ucciso in un agguato a Marsala nell’esercizio delle sue funzioni.

Grandi assenti i giovani. L’età media dei presenti era molto alta, si è notata l’assenza delle scolaresche, praticamente “inesistenti” i ragazzi in età di “leva”. Mancava il “futuro”, quella generazione che tra pochi anni dovrà per cause di forza maggiore prendersi cura del Paese, accompagnarlo ad andare avanti per la sua strada, una strada che purtroppo sembra smarrita.
Mancavano quei giovani ormai  troppo distratti dalla vita facile, dai divertimenti, che sembrano insabbiati fino al collo tanto da non accorgersi che il  Paese ha bisogno oggi più che mai di essi, che la “Patria” li chiama a raduno per trasmettergli il ricordo di chi morì per amore per la sua terra. Ma non c’era traccia di loro, assenti ingiustificati, che hanno preferito il mare alla manifestazione di affetto verso quei “padri” che hanno permesso loro di vivere in pace e in democrazia la loro esistenza. Gli unici giovani presenti indossavano l’uniforme ed erano lì ad impersonare lo Stato di diritto e a rendere omaggio ai loro commilitoni caduti in difesa della democrazia.

venerdì 20 maggio 2016

Regioniamo Sicilia!

I Cantieri Culturali alla Zisa hanno dato il battesimo alla prima festa dei dipendenti regionali. Tre giorni intensi, rigorosamente pieni di manifestazioni e di intrattenimenti, dove la qualità non è stata assolutamente lasciata al caso. Si deve riconoscere agli organizzatori di aver realizzato un evento che nel bene o nel male rimarrà nei ricordi di chi l’ha vissuto come una buona iniziativa. In ogni caso è stata un’idea brillante, la pietra miliare di un avvenimento che se riproposto, con i giusti accorgimenti, potrebbe diventare la “festa madre” e non più “la non festa” dei lavoratori regionali. Un ottimo progetto, che ha coinvolto tanti “cervelli buoni” della nostra amministrazione, messi insieme da quel Paolo Luparello, testardo e ammirevole promotore, “ideatore” dell’Associazione “ perché no...”, che per primo ci ha messo la faccia. Mesi e mesi di preparativi, impelagato in una farraginosa burocrazia organizzativa che come tutti sappiamo non è facile assecondare, Luparello è riuscito lì dove nessuno ha mai osato, scommettendo con se stesso sulla riuscita della manifestazione, che, come prima “puntata” non è andata niente male. E’ chiaro che qualcuno in preda a crisi di gelosia o invidia che sia, polemizzerà, attaccherà, criticherà, ma non mi pare che altri in passato abbiano mai provato a fare qualcosa di simile. Una partenza a razzo il venerdì pomeriggio, giornata inaugurale, con la rappresentazione di un ballo in costume che ha prima incuriosito e successivamente divertito i presenti, che hanno manifestato la loro soddisfazione con lunghi applausi e tantissime foto alla bellissima coreografia del folto gruppo di danzatori. Spettacoli musicali, Tavole rotonde, riflessioni, presentazioni, confronti, esibizioni, incontri culturali e mostre fotografiche hanno animato l’ambiente circostante occupando tutti gli spazi temporali agli ospiti che non hanno avuto possibilità alcuna di annoiarsi. La presenza di tanti colleghi che non si rivedevano da anni, i visi trasformati dall’età, i ricordi passati, le chiacchiere, hanno comunque assicurato alla manifestazione un’atmosfera festosa. Insomma, come si dice, comunque sia andata è stato un successo. Paolo e la sua troupe ce l’hanno fatta.

venerdì 6 maggio 2016

Il gioco dei ricorsi

Ricorsi si, ricorsi no. Decine le problematiche da delegare agli avvocati per avviare procedimenti contro l’amministrazione regionale per inadempienze varie o per lesioni di diritti sacrosanti come sono quelli relativi al rinnovo contrattuale o alla trattenuta sulle pensioni. Qualche sindacato ancora non ha le idee chiare, qualcun altro non riesce a tenere il gioco, soprattutto perché i dipendenti sono in palla, non riescono più a capire il ruolo del sindacato che stando alle ultime riunioni simula ricorsi (a pagamento) ma non assicura niente . Intanto il Governo regionale ridimensiona le loro prerogative con la “scusa” che la Corte dei Conti le ritiene decisamente eccessive, e decide che anche in Sicilia verranno introdotte nuove figure come quella del Rappresentante Sindacale Unitario (RSU), soggetto già presente in tutti i contratti di lavoro ma mai voluto dalle sigle sindacali maggioritarie, che vedrebbero così ridimensionato il loro “potere” contrattuale. Ma ormai la riforma è matura, e la macchina è partita. Gli RSU saranno al più presto introdotti nell’ordinamento dell’amministrazione regionale. Niente più RSA quindi, indicati e nominati direttamente dai “capi” sindacali, ma soggetti lavoratori eletti democraticamente dai dipendenti stessi. L’accordo è passato tra non pochi mugugni, ma alla fine il buon senso ha avuto ragione, e l’ARAN, su indicazione del Governo regionale, sta elaborando il regolamento attuativo da sottoporre ai sindacati che dovranno approvarlo e indire subito le elezioni che in linea di massima dovrebbero svolgersi a settembre o al massimo a ottobre prossimo.

martedì 19 aprile 2016

Gli italiani hanno perso l'occasione

E’ finita così, con un nulla di fatto il referendum abrogativo di parte della legge sulle trivellazioni. Un flop che non ci aspettavamo assolutamente vista la problematica che investe tutti i cittadini e non solo una parte di essi. Un diritto, se non un dovere, andare al seggio elettorale ed esprimere così la propria idea su una legge che è stata pensata e approvata da un Parlamento che non rappresenta ormai più di tanto gli italiani. Ma gli italiani, lo sappiamo, sono fatti così. Può cascare il mondo ma non reagiranno fin tanto che non cadrà quel “loro” personale pezzo di mondo, fino a quando nessuno gli toccherà le tasche, fino a quando potranno mangiare un piatto di spaghetti e pagare la luce per poter vedere le partite in TV . Niente di più squallido. L’idea di ribellarsi con l’unico modo civile che questo Paese ha ( almeno fino a ora), quello del voto, viene totalmente rimossa per piccole incombenze di vita quotidiana (dormire, gita al mare o in campagna ecc.), il che da l’idea del perché il nostro Paese si trova oggi in questa difficilissima situazione economica. Uno spettacolo increscioso vedere i seggi elettorali vuoti e le strade cittadine piene di gente che passeggia infischiandosene del futuro dei loro figli, che lascia nelle mani dei “soliti” decidere di salvaguardare l’ambiente o meno, per poi puntualmente lamentarsi con i politici di turno se l’inquinamento raggiunge limiti ormai costanti e pericolosissimi, se il mare lungo la costa è vietato alla balneazione o se le stagioni sono sempre più calde. Non si capisce il perché di questo atteggiamento disinteressato, che si rende complice di una politica incurante del destino del proprio Paese, una piatta idea dell’ambiente che nel tempo potrebbe causare danni irreversibili al sistema. Il 31% circa degli italiani ha votato contro le trivellazioni, adesso bisognerà capire l’età media degli elettori, per poter comprendere meglio l’atteggiamento dei giovani, se hanno partecipato o viceversa disertato il voto. Ciò darebbe una visione parziale ma anche una idea generale su quanto i nostri giovani siano pronti ad affrontare, in un prossimo futuro, le problematiche relative all'incerto destino della terra.

martedì 5 aprile 2016

Ovunque!!


E’ domenica mattina, esco dalla Chiesa, sono circa le 11,00, mi reco verso l’auto, indugio all’arrivo di un giovane di colore, alto almeno un metro e ottanta, fisico da atleta, che in maniera simpatica mi chiede una moneta. Allungo la mano per porgere la moneta da cinquanta centesimi che prende con una velocità incredibile e mette in tasca. Provo un senso di rabbia quando sento il rumore metallico della moneta che evidentemente prende posto tra tantissime altre. Ma nella certezza di aver fatto comunque un’opera di carità vado avanti per la mia strada. Salgo in macchina e manovrando esco dal parcheggio. Prendo la strada che mi porterà dopo appena pochi minuti in un bar dove insieme a mia moglie decidiamo di fare colazione. Una domenica come tante altre, ma ho come la sensazione che questa sia diversa. Infatti all’uscita dal bar trovo un altro giovane di colore, meno alto del precedente ma altrettanto intraprendente che mi chiede anch’esso “l’obolo” sul parcheggio. Provo a fargli capire che ho già dato in precedenza, ma il ragazzo non sembra sentire ragioni. Comunque, in imbarazzo, cerco e trovo un’altra moneta che metto nella sua mano spedita e rientro in auto. La rabbia mi passa al pensiero che comunque questi ragazzi quel giorno avranno di che mangiare. Ma dura ben poco. A circa cento metri di distanza mi aspetta il semaforo, è giallo, e mio malgrado mi fermo . Una figura appare davanti al finestrino dell'auto con la mano tesa a pretendere anch’esso qualcosa che questa volta non mi riesce di dare. Indossa indumenti sportivi, eleganti e un grosso crocifisso al collo. Dico no, e vado avanti a rischio anche di investirlo, ma questa volta sono determinato a non dar nulla. E no. Decido insieme alla mia consorte di recarmi in un grande magazzino per passare così un po’ di tempo, e guarda caso anche lì mi si avvicina un altro giovane di colore, con un fischietto nero in mano che dopo avermi apostrofato con un “ciao amico” mi indicava uno dei tantissimi posti liberi, magari adducendosi la pretesa di avermi fatto un favore. Adesso sono incazzato, tutti questi giovani a domandare denaro ovunque, negozi, chiese, cimiteri, bar, ristoranti, parcheggi di ogni genere e tanto altro ancora , diventano insopportabili. Data la giovane di età di costoro mi chiedo che futuro abbiano in una terra come la nostra dove la disoccupazione è al 50% e i nostri ragazzi "espatriano" per garantirsi un futuro, ma sopratturro una terra dove la morsa della mafia, per mano dei taglieggiatori, ti toglie la dignità e quel poco che rimane di una economia difficile a definire tale.

venerdì 18 marzo 2016

Sit.in di protesta e polemiche

Ci si aspettava una presenza più massiccia, anzi di più, ma evidentemente le cose a molti dipendenti della regione non vanno poi così tanto male. Un centinaio di persone, forse duecento, ma niente di eccezionale in un raduno il cui obiettivo era dare un segnale forte al governo “Baccei” , che di rinnovo contrattuale non vuole sentirne parlare. Un sit-in davanti gli uffici di Palazzo d’Orleans, in un pomeriggio cupo, organizzato da tutte le sigle sindacali, che non si arrogava la presunzione di essere una manifestazione o una rivolta, ma un semplice e preliminare assaggio di quello che sognano da sempre le OO.SS. e che potrebbe comunque accadere in un prossimo futuro. Ma è stato un flop. Adesso sarà più facile per i detrattori dei sindacati, sorridere e scaricare le colpe per la fallita iniziativa e per i ridicoli risultati ottenuti, ma bisogna rispedire al mittente il messaggio: i dirigenti sindacali erano presenti. Non bisogna arrendersi, si deve continuare a lottare, i sindacati dovranno ancora imporsi come estremi baluardi a difesa della classe più debole, in una guerra impari che ha già visto i lavoratori perdere più volte. Il braccio di ferro con questo governo regionale che gioca sporco, non mantiene i patti, diserta gli appuntamenti determinanti e che soprattutto non applica quanto sancito dalla Corte Costituzionale relativamente al rinnovo dei contratti di lavoro, deve continuare. Qui si rischia grosso. Tutti quanti i dipendenti della regione devono sapere che l’”istituto del contratto di solidarietà” è vigente in Italia così come in Sicilia, e che tutti i lavoratori, di ruolo e non, sono nel mirino. Abbiamo “subìto” il job act senza colpo ferire e oggi siamo ostaggio della politica. Bisogna , in questo momento strategico, dare man forte a chi ci rappresenta, partecipare e soprattutto ricordarsi sempre che un generale senza soldati è un sicuro perdente.

venerdì 4 marzo 2016

Sala d’Ercole e i suoi inquilini

Toh, guarda chi si rivede, la finanziaria della regione siciliana. Minestra riscaldata, sempre la solita solfa. C’è chi chiede e chi rifiuta, chi rilancia e chi si ostina, ma è assodato che la musica non cambia. Alla soddisfazione “celata” di chi riesce a reperire fondi per la propria “patria politica”, si somma quella di chi viceversa di fondi ne riceve pochi o addirittura niente. E qui scoppia la guerra. Invidia, gelosia, voglia di vendicarsi. Questa storia va avanti ormai da decenni, forse addirittura dalla nascita del parlamento siciliano, ma evidentemente l’odierna crisi finanziaria ha forzato il clima distensivo che imperava a palazzo dei normanni nelle legislature passate, fino ad arrivare agli scontri verbali intensi e sgradevoli a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi. L’importante è arrivare assolutamente all’approvazione della legge finanziaria al più presto, per evitare un commissariamento del consiglio regionale e del conseguente “sciogliete le truppe”. Lo spauracchio dello scioglimento fa troppa paura e smembra il cervello. Chi ha seguito i lavori d’aula parla di inettitudine, di incompetenza e soprattutto di improvvisazione. Tutti uguali. Interventi inutili e spesso disarticolati che paiono così ingarbugliati che non vengono neppure seguiti dai “consiglieri” presenti. Si, presenti, perché molti non ci sono. “Chi è a favore si alzi chi è contrario resti seduto”. Neppure una volta li ho visti alzare, vuoi perché disinteressati, vuoi perché “stanchi “ e incapaci di reagire al “veloce” e alle volte “incomprensibile” ordine che arriva dallo scranno più alto di sala d’Ercole. Chi da anni bazzica la politica siciliana ricorda con incanto e delizia gli anni in cui ci si attardava la notte, e ancora nelle festività, pur di raggiungere il traguardo dell’approvazione di una “valida” legge di bilancio. Forse troppo permissiva, troppo elargitiva, ma pur sempre una buona legge si partoriva. Rilancio della classe dirigente politica. Se ne parla ormai da tanti anni, ma il giocattolo è troppo prezioso e non tutti sono disposti a lasciare. Anzi. Le scuole di formazione politica dei partiti sono soltanto “stanze di compensazione”, dove si trasmette la linea di partito, se mai ce ne fosse una, e si fa proselitismo. La partecipazione non è gratuita, e questo già lascia trasparire l’intenzione che non è quella di “allevare” nuove figure politiche, ma bensì procurarsi un nuovo strumento elettorale.

martedì 16 febbraio 2016

La pazza politica di Renzi

Ci risiamo. Il Governo Renzi vuol rimettere mani sulle pensioni degli italiani, come se già non fosse bastato ridurle e allungare il tempo per raggiungerle: adesso vuole introdurre una penalizzazione alle pensioni di reversibilità, già di per sé ridicole, ai margini della miseria. Le parole del Ministro del lavoro Poletti, opportunamente rilasciate, tentano di smorzare le polemiche sul nascere, ma tradotte in pillole non lasciano dubbi: si metterà mano alle pensioni di reversibilità, legate all’ISEE, dove verranno inglobati anche proprietà e risparmi di ogni genere. Una pazzia che già vede i sindacati sul piede di guerra, e gli italiani pronti ad imbracciare le scope . Questa proprio non deve passare se no è finita. Le profetiche esternazioni dei vertici INPS sulla instabilità dell’Istituto sono bastate a ridare spinta al governo per mettere mano alle pensioni, anche perché in futuro bisognerà garantire la reversibilità anche ai nuovi rapporti legalizzati (unioni civili), un’altra invenzione di questo governo che sta già indebolendo la struttura sociale degli italiani che è ancora legata a doppio filo alla famiglia. Indebolirne in questo momento i pilastri e ridurre gli assegni di reversibilità, significa lasciare i giovani e meno giovani disoccupati alla mercé della delinquenza organizzata, e intere famiglie sul lastrico. Noi vogliamo sperare che il “ballon d’essai” lanciato da Renzi & Co. resti solo tale e non abbia un seguito, viceversa vedo un futuro piuttosto grigio.